Emergenza Profughi

Il 3 ottobre 2013, a poche miglia dal porto dilampedusa, è avvenuto il naufragio di un’imbarcazione libica utilizzata dai trafficanti di persone per il trasporto di migranti. Questo fatto, assurto agli onori delle cronache come “Tragedia di Lampedusa”, ha provocato 366 morti accertati e circa 20 dispersi presunti; i superstiti salvati sono stati 155, di cui 41 minori. In seguito al naufragio, il governo italiano ha deciso di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia, autorizzando l’operazione “Mare nostrum”, una missione militare e umanitaria la cui finalità era quella di prestare soccorso ai migranti, prima che potessero ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo. L’obiettivo era quello di intervenire in loro aiuto, giungendo il più vicino possibile ai porti dei Paesi nordafricani, dai quali salpano i barconi fatiscenti che li traghettano in Europa, con la speranza che tale operazione potesse anche fungere come deterrente nei confronti di coloro che organizzano questo illecito traffico di esseri umani. Parallelamente alle operazioni di salvataggio si è messa in atto una rete di accoglienza su tutto il territorio nazionale, in grado di garantire sia un’idonea sistemazione abitativa alle persone tratte in salvo che, in attesa del perfezionamento della procedura intesa al riconoscimento della protezione internazionale, una serie di attività finalizzate a fornire supporto ai migranti, in termini di tutela della salute, alfabetizzazione, conoscenza delle leggi che regolano il “Sistema Italia”, possibilità di rendersi progressivamente autonomi e consapevoli delle proprie capacità.

Rispetto al progetto S.P.R.A.R. sopra descritto, in questo caso i tempi di accoglienza sono più ridotti: una volta definito lo status dei richiedenti protezione internazionale dalle commissioni deputate, è prevista la dimissione subito dopo il rilascio del titolo di soggiorno eventualmente concesso.

La Caritas Diocesana di Rimini, attraverso la cooperativa sociale “Madonna della Carità”, ha accolto, nel corso dell’anno 2016, 143 persone.

Accolti nel 2016 per provenienza geografica

Provenienza n
Nigeria 35
Mali 20
Pakistan 18
Gambia 16
Afghanistan 13
Senegal 13
Ghana 7
Costa d’Avorio 6
Guinea 6
Sudan 3
Burkina Faso 1
Etiopia 1
Guinea Conakry 1
Iraq 1
Marocco 1
Niger 1
Totale 143

Accolti nel 2016 per classe d’età

Molti dei richiedenti asilo partono lasciando in patria le proprie famiglie spesso molto numerose; un’esigua percentuale di loro ha familiari in Italia e la maggior parte si trovano in altri Paesi europei, come Francia e Gran Bretagna.

Le problematiche segnalate dalle persone accolte sono essenzialmente di tipo economico e, in generale, riconducibili ai motivi che le spingono a presentare domande di protezione internazionale.

L’obiettivo del progetto è quello di garantire protezione e supporto alle singole persone, adottando misure efficaci che permettano loro di acquisire gradualmente un sufficiente livello di autonomia.

Il percorso migratorio delle persone che arrivano nel nostro Paese spesso non è frutto di una pianificazione della loro vita futura; per questo motivo, la loro esistenza scorre nell’incertezza e nell’approssimazione, ogni giorno è dedicato al trovare risposte ai bisogni di sopravvivenza.

Anche se il viaggio viene effettuato con altri connazionali, è molto frequente la possibilità di essere separati nelle varie fasi di soccorso e smistamento nei centri di prima accoglienza. Questa evenienza non viene meno anche quando a viaggiare sono coppie o parenti stretti.

La barriera linguistica è il primo ostacolo da superare per riuscire a intraprendere il cammino di integrazione. Per cercare di agevolarlo il più possibile si organizzano corsi di italiano di vari livelli, tenendo conto che alcuni di loro sono analfabeti e molti altri parlano solo dialetti delle zone rurali da cui provengono.

Anche l’elevata eterogeneità delle culture di appartenenza delle persone accolte, può rappresentare un elemento di difficoltà nel processo di inclusione. Per superare le inevitabili complicazioni nelle relazioni quotidiane, è necessaria una mediazione continua che faciliti i rapporti anche tra persone di diversa provenienza.

Consapevoli che queste differenze, unite a un basso livello di istruzione, creano distanze dalle comunità ospitanti, una parte importante del lavoro degli operatori è dedicato alla costruzione di reti di supporto attraverso la collaborazione con enti, associazioni, singole persone in grado di favorire momenti di incontro, socializzazione e condivisione.

In quest’ottica sono state avviate iniziative sportive che hanno fatto nascere due squadre, una di calcio e una di cricket, entrambe iscritte a campionati amatoriali provinciali, che dimostrano l’importanza di creare occasioni di interazione e divertimento per tutti i partecipanti e tra le persone in qualche modo coinvolte nelle attività.

Inoltre, particolare attenzione viene rivolta al rapporto con i mezzi di comunicazione locali per cercare di fornire un’informazione corretta sul fenomeno della migrazione e sulla presenza dei migranti sul nostro territorio, potendo mettere in luce anche gli aspetti positivi e il lavoro importante che viene svolto.

Nei confronti di tutte le persone inserite nei progetti, gli operatori si pongono l’obiettivo di instaurare una relazione positiva e costruttiva, che si deve fondare sulla fiducia, la chiarezza e, soprattutto, sulla reciprocità e sulla collaborazione tra operatore e beneficiario nell’individuazione del percorso più idoneo da intraprendere. Il fine prioritario è quello di renderli progressivamente consapevoli e preparati ad affrontare il loro progetto migratorio mettendo a disposizione strumenti adeguati per gestire autonomamente la propria esistenza nel nostro Paese.

Ma non ci sono solo le barriere linguistiche e culturali a rendere più complesso il lavoro degli operatori. Le persone accolte, anche se qui sono da sole, hanno lasciato le famiglie nel loro Paese. I legami sono determinanti nel loro vissuto quotidiano tanto che i familiari sono un pensiero costante per i beneficiari dei progetti di accoglienza; c’è un aspettativa molto alta nei confronti di coloro che “ce l’hanno fatta”; chi è rimasto a casa matura la consapevolezza che i familiari giunti in Europa abbiano l’opportunità di trovare un’occupazione facilmente e di riuscire così a inviare loro un po’ di denaro. Inoltre, alcune famiglie si sono indebitate per pagare il viaggio al proprio parente, nella maggior parte figli o nipoti. Per questo motivo molti ospiti delle strutture di accoglienza scelgono di privarsi del loro pocket-money mensile preferendo inviarlo ai loro familiari.

È necessario investire tempo e passione attraverso una relazione assidua che quotidianamente gli operatori instaurano con ogni persona accolta, accompagnandola per qualunque necessità afferente all’ambito della vita quotidiana. Da un lato si tratta di affrontare gli aspetti della loro esistenza passata, spesso carica di sofferenza e di lacerazioni, che a volte provocano disagio nella loro vita quotidiana e nei rapporti di convivenza, dall’altro di offrire un supporto paziente e competente nella soluzione di varie problematiche (abitative, di salute, di relazione con gli altri beneficiari, di istruzione, ecc.), la maggior parte delle quali sono riconducibili all’ambito della tutela personale e dell’aiuto nella costruzione di un nuovo orizzonte di vita.

Nonostante le diverse attività proposte, una buona parte delle ore della giornata è un tempo che spesso viene riempito riallacciando il legame con la terra di origine attraverso l’ascolto della musica o la visione di immagini del proprio Paese. Il rimpianto di ciò che è stato abbandonato, la drammaticità dell’esperienza migratoria e l’incertezza derivante dalla situazione che si trovano a vivere, diventano per alcune persone motivo di frustrazione o depressione che, in alcuni casi, non riescono a gestire con il rischio di cadere in forme di dipendenza o di devianza.

Il sentimento di solitudine si rafforza ulteriormente quando non si ricevono risposte concrete dalle Istituzioni. I tempi della burocrazia spesso si allungano oltre la norma e, peggio ancora, a volte non si riescono nemmeno a quantificare nonostante la presenza rassicurante degli operatori. Per questo motivo il quotidiano lavoro di ascolto e di mediazione, anche con le Amministrazioni coinvolte nelle procedure, risulta molto importante e investe una parte considerevole di tempo e capacità di relazione da parte degli operatori.

Nei Paesi da cui provengono i richiedenti la protezione internazionale il servizio sanitario come lo intendiamo in Europa è praticamente assente e, laddove esiste, ha costi elevati per la maggior parte della popolazione. Spesso, le persone si affidano alla medicina tradizionale tramandata da capi tribù o stregoni. Queste usanze li accompagnano anche quando giungono in Italia e può capitare che, oltre alle cure messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale del quale possono beneficiare, facciano ricorso alla medicina tradizionale o a pratiche rituali.

All’arrivo in Italia, i richiedenti asilo vengono sottoposti a una prima visita medica generale; è il primo momento di screening in cui si cerca di avere più informazioni possibile sulle loro condizioni di salute. Ed è anche il momento di inizio di una relazione con il sistema sanitario italiano, molto importante per far fronte alle gravi situazioni che hanno minato la salute dei migranti durante il loro viaggio, ma che spesso risulta farraginoso a causa della burocrazia e delle difficoltà linguistiche e culturali.

Nonostante l’approdo, dopo molte peripezie durate spesso alcuni anni, in luoghi accoglienti, dove le esigenze di sopravvivenza sono ormai superate e i diritti fondamentali garantiti, compresa l’assistenza sanitaria con un medico di base, tutto a vantaggio di una generala ripresa della vita “normale”, ecco comparire malattie, vere o presunte, che si manifestano con disturbi a livello somatico e psicologico. Anche in questo caso la risposta dei servizi di assistenza medica si misura con la complessità delle differenze culturali.

Pur di fronte, nella maggioranza dei casi, a persone in buone condizioni di salute, si può affermare che le problematiche sanitarie maggiormente rilevate sono a livello dermatologico, ortopedico e odontoiatrico.

Spesso, alcuni disturbi come cefalee, dolori cervicali e articolari, sono conseguenza di traumi a livello psicologico per i quali vengono attivati percorsi ad hoc in collaborazione con i servizi socio-sanitari. Infatti, per molti migranti l’esperienza traumatizzante del viaggio, l’abbandono della propria terra, dei propri affetti e il confronto con altre culture provocano un disagio che a volte può essere anche molto grave e non si riesce a ridurre con il ricorso alle cure e ai farmaci conosciute dalla medicina occidentale.