Progetto “Parrocchia Accogliente”

La nascita del progetto

A settembre 2015, in seguito all’accorato appello di Papa Francesco sui migranti, il Vescovo e la Caritas diocesana di Rimini hanno sollecitato le parrocchie della Diocesi nella realizzazione di un progetto di accoglienza diffusa rivolto ai migranti, che potesse coinvolgere fattivamente le loro comunità: è la nascita del progetto “Parrocchia Accogliente”.

L’idea è quella di abbattere le barriere e le distanze che si creano tra profughi e società ospitante, spesso ingenerate anche dalla modalità di accoglienza in strutture appositamente dedicate.

Il considerevole aumento, negli ultimi anni, degli arrivi di persone richiedenti protezione, ha infatti costretto a un approccio emergenziale del fenomeno, il cui limite principale è proprio la difficoltà di creare opportunità di reale integrazione dei profughi nelle comunità locali. Poche occasioni di dialogo e conoscenza reciproca, e quindi meno opportunità di integrazione socio-professionale per richiedenti asilo e rifugiati, con conseguente proliferazione di pregiudizio e diffidenza nei loro confronti.

“Parrocchia Accogliente” vuole essere un tentativo di superamento di questi limiti, attraverso l’accoglienza di richiedenti asilo, affidati dalla Prefettura alla Cooperativa sociale “Madonna della Carità” e dislocati presso le comunità parrocchiali.

L’attuazione del progetto

Il progetto è stato proposto alle parrocchie della Diocesi nel dicembre 2015, prima con un incontro pubblico e poi con una serie di appuntamenti nelle parrocchie più interessate al tema. Hanno risposto all’appello sedici comunità, che hanno iniziato a interrogarsi sulla questione invitando gli operatori della Caritas a testimoniare del loro lavoro coi migranti durante le omelie, nelle riunioni dei Consigli Pastorali e davanti alla comunità tutta; alcune parrocchie hanno pensato anche di proporre un percorso informativo, organizzando vari incontri di avvicinamento al tema delle migrazioni. Indipendentemente dal concreto avvio dell’accoglienza, il progetto è stato motivo di confronto e occasione di approfondimento sulla dibattuta questione dei migranti.

Le parrocchie che infine hanno scelto di partecipare al progetto sono quelle della zona pastorale Flaminia, Sant’Andrea dell’Ausa, San Raffaele e San Gaudenzo e, successivamente, anche la zona pastorale di Morciano-Montefiore-Gemmano.

Ogni realtà, oltre a mettere a disposizione un appartamento per l’accoglienza dei nuovi ospiti, ha avviato un gruppo di volontari per seguire i beneficiari del progetto nel loro percorso d’integrazione e per mediare fra loro e la comunità. I gruppi hanno affrontato numerosi incontri preparatori con gli operatori della Caritas diocesana, sia per organizzare le attività (corsi di italiano, accompagnamenti sanitari, integrazione professionale, partecipazione alla vita comunitaria e di quartiere), che per gestire il rapporto con gli ospiti. In alcune realtà hanno partecipato anche persone non frequentanti la parrocchia; il progetto è diventato dunque occasione di relazione tra tutte le componenti della comunità civile che vivono nel quartiere.

I beneficiari del progetto, tutti uomini adulti con un’età media di 25/26 anni, sono persone che gli operatori hanno conosciuto, intuendo l’esigenza di un percorso progressivo di integrazione sociale per tutti costoro.

 

Sant’Andrea dell’Ausa ha scelto di prendersi cura di una famiglia sudanese-etiope di quattro persone (comprese due bimbe di tre anni e nove mesi), diventando a inizio marzo 2016 la prima “parrocchia accogliente”.

La zona pastorale Flaminia ha deciso di gestire l’accoglienza come progetto di zona, accogliendo il 15 marzo due ragazzi nigeriani e due ghanesi in un appartamento del territorio parrocchiale di San Giovanni Battista.

A fine maggio si è aggiunta l’esperienza di “Casa Betania” che, supportata dalle parrocchie di San Gaudenzo e San Raffaele, ha accolto dieci giovani uomini provenienti da Nigeria, Ghana, Marocco, Gambia, Mali e Afghanistan. Inoltre, “Casa Betania” è diventata anche occasione di restituzione per due rifugiati ormai usciti dai progetti di accoglienza ed economicamente autonomi, che si sono messi alla prova come operatori.

Infine, poco prima di Natale 2016, la zona Morciano-Montefiore-Gemmano ha iniziato il suo progetto di prossimità ospitando due ragazzi nigeriani e due senegalesi.

I successi

Ogni accoglienza è iniziata con un momento di festa, una merenda comunitaria durante la quale beneficiari e volontari si sono presentati e hanno iniziato a conoscersi.

Consapevoli che il loro compito è favorire l’integrazione degli accolti, i volontari hanno lavorato assiduamente per tre obiettivi: il miglioramento della conoscenza della lingua italiana, la ricerca di opportunità di inserimento professionale e l’organizzazione di momenti di condivisione con tutta la comunità.

Sono stati attivati da subito corsi di italiano e, ove possibile, alcuni beneficiari sono stati inseriti anche nelle scuole di italiano per stranieri del territorio. Gli ospiti della zona pastorale “Flaminia” sono stati coinvolti anche in un incontro settimanale finalizzato all’apprendimento dei termini da utilizzare sul luogo di lavoro.

Complessivamente, sono stati avviati dieci tirocini formativi presso aziende locali e per quattro di loro si è riusciti a perfezionare un rapporto di lavoro. Altri tre ragazzi hanno superato la selezione come operatori del Servizio Civile Volontario, importante occasione formativa e di crescita sia personale che professionale.

Per ogni ospite accolto è stato elaborato un curriculum vitae e tutti sono stati aiutati nella ricerca del lavoro.

I ragazzi della zona pastorale “Flaminia” hanno partecipato come volontari al Campo Lavoro Missionario 2016, testimoniando varie volte la loro esperienza di vita ai giovani e ai gruppi scout.

Anche la famiglia accolta dalla parrocchia di Sant’Andrea dell’Ausa è stata interpellata per la stessa iniziativa incontrando la comunità locale durante una cena finalizzata al finanziamento del progetto.

A “Casa Betania” sono state organizzate lezioni di musica e di pittura; un ragazzo è stato inserito a un corso di cucito realizzato da un’associazione culturale e aiutato nello studio per il conseguimento della patente di guida.

Inoltre, sono state create occasioni di integrazione attraverso la pratica sportiva, con la partecipazione a un torneo calcistico e l’inserimento di alcuni di loro in squadre di calcio e pallavolo. Durante l’estate 2016, il “Campo Don Pippo” è stato frequentato da alcuni ragazzi partecipanti alle attività sportive, mentre altri hanno preso parte a uno spettacolo-testimonianza.

A Morciano, i quattro ospiti sono stati inseriti nella squadra di calcio locale e due di loro hanno iniziato anche a partecipare alle prove del coro parrocchiale; il periodo natalizio è diventato occasione per la realizzazione di numerosi momenti conviviali e di conoscenza reciproca fra beneficiari e volontari.

I problemi – Le difficoltà

Dopo un primo periodo, sono emersi principalmente due problemi: la difficoltà di intercettare l’attenzione della comunità allargata e la preoccupazione rispetto al futuro dei ragazzi accolti, una volta terminati i progetti di accoglienza.

In questa prima esperienza del progetto “Parrocchia Accogliente” si è potuto constatare come le comunità abbiano preferito non coinvolgersi molto, delegando ai volontari della parrocchia il compito di seguire i beneficiari. Sono ancora molto diffusi diffidenza e paura. In alcune parrocchie, che inizialmente avevano mostrato interesse a realizzare l’iniziativa, sono prevalsi timori e incertezze; in altre, già coinvolte nell’accoglienza, sono emerse criticità per via di preconcetti e di una certa riluttanza nel porsi con una modalità diversa nei confronti degli ospiti. In alcuni casi, la timidezza delle persone accolte così come la difficoltà degli stessi volontari nell’affrontare relazioni nuove, oltre alla limitata intraprendenza da parte di entrambi nel riuscire a valorizzare alcuni aspetti della quotidianità, non hanno certamente favorito le opportunità di incontro tra gli ospiti e la comunità, con la sola eccezione dei momenti di festa. A volte, questo ha portato a perdere di vista il valore educativo del progetto, nonché l’obiettivo più importante per i suoi beneficiari che è quello della loro inclusione nella comunità. I volontari più coinvolti, invece, sono riusciti a creare velocemente un legame forte e significativo con gli ospiti.

Un altro aspetto molto importante, ma non privo di complicazioni per i volontari che lo hanno affrontato fin dall’inizio delle accoglienze, è stato quello di reperire opportunità di inserimento lavorativo per permettere ai beneficiari il raggiungimento di una progressiva autonomia.

Per uno degli ospiti è stato possibile concretizzare un’esperienza di lavoro, anche se provvisoria, e questo ha permesso di gestire meglio la fase di uscita dal progetto, rendendola meno faticosa. Per altri due, il percorso di accoglienza ha consentito loro di conoscere altre famiglie o realtà in grado di supportarli anche dopo la fine del progetto. In alcuni casi, le persone hanno scelto da sole la loro strada, preferendo un trasferimento all’estero, un appoggio presso connazionali, persino il rimpatrio nel Paese di origine.

I benefici

In generale, si è potuto constatare come l’accoglienza in comunità permetta di superare alcuni limiti che invece caratterizzano quella gestita nelle strutture dedicate, supportando molto gli ospiti nella ricerca di lavoro, nella conoscenza del territorio, nelle attività di integrazione sociale.

Dopo anni vissuti nella precarietà e nell’incertezza che hanno contrassegnato il loro percorso migratorio, i profughi sono giunti qui senza famiglia, privi di riferimenti o di amicizie. La solitudine ha prodotto per qualcuno difficoltà sul piano psicologico. L’ambiente che hanno incontrato (spesso incomprensibile nelle sue dinamiche e restio ad accettare il forestiero) e in cui si sono ritrovati a condurre le loro esistenze è all’interno della strutture di accoglienza, contenitori troppo grandi e complessi per seguire adeguatamente persone molto diverse sotto ogni profilo.

Il valore essenziale del progetto “Parrocchia Accogliente” consiste quindi nella sua capacità di creare opportunità di relazioni nuove e significative fra i migranti e le nostre comunità, potendo dedicare un tempo e uno spazio sociale umanamente più adatti e in grado di evitare il rischio di un pericoloso isolamento e di arginare la reazione spesso insensata al fenomeno dell’immigrazione da parte della gente.